Zuccherificio Eridania di Codigoro

A Genova, nel 1899, viene costituita la “Società Anonima Eridania, fabbrica di zucchero” con lo scopo di produrre e commercializzare zucchero e prodotti affini.

Nello stesso anno a Codigoro, un piccolo comune della provincia di Ferrara, nasce il primo zuccherificio Eridania Zuccherifici Nazionali, denominazione che assumerà la più grande società saccarifera italiana. Al fine di ottenere un prodotto di qualità, Eridania investe non solo nella produzione industriale ma anche nella coltivazione della barbabietola da zucchero, soluzione che si rivela vincente consentendo dopo solo un anno la realizzazione di un secondo complesso industriale a Forlì.

Nel 1906 la giovane realtà imprenditoriale assume il nome di “Eridania Società Industriale“, evidenziando la sua vocazione commerciale, che si esprime anche con la costituzione di altri stabilimenti, tra cui la “Distilleria Padana” a Ferrara. L’ascesa viene frenata dagli anni della Grande Guerra e l’azienda si ristabilisce solo a partire dagli anni Venti, con la nascita di venti nuovi stabilimenti e la costituzione di ben quattordici nuove società saccarifere.

Nel 1930 la società si fonde con un altro grande produttore del settore, gli “Zuccherifici Nazionali”, dando vita alla “Eridania Zuccherifici Nazionali”. La fusione consente all’Eridania di controllare ventotto stabilimenti che producono il 60% del fabbisogno nazionale di zucchero. In quegli anni il presidente è Serafino Cevasco, entrato come semplice funzionario e poi divenuto presidente.

In questo video, presente sul canale ufficiale YouTube della Società Eridania, sono visibili splendide immagini storiche dello zuccherificio di Codigoro.

Nel 1966 la società Eridania viene acquistata dal petroliere Attilio Monti che la fonde con ben quattro altre società: “Saccarifera Lombarda”, “Emiliana Zuccheri”, “Saccarifera Sarda” e “Distillerie Italiane”. Durante la gestione del gruppo Monti si registra un importante incremento produttivo, dovuto principalmente ad un intervento di ammodernamento degli impianti.

Alla fine degli anni settanta la società viene completamente ceduta al “gruppo Ferruzzi” di Serafino Ferruzzi. Alla sua morte, nel 1979, il Gruppo Ferruzzi viene guidato dal genero Raul Gardini, che procede nella stessa politica di modernizzazione degli impianti e di chiusura degli stabilimenti obsoleti. La morte per suicidio di Raul Gardini, a seguito dell’inchiesta giudiziaria nota come “tangentopoli”, getta l’Eridania in una situazione di profonda precarietà.

Nel 2003 (fonte Wikipedia), dopo la scissione tra i nuovi soci delle attività industriali (5 stabilimenti a Coprob/Finbieticola e 2 stabilimenti al Gruppo Maccaferri), vengono costituite:

  • Italia Zuccheri S.p.A. (50% Coprob e 50% Finbieticola, ora 100% Coprob)
  • Eridania Sadam S.p.A. (Seci, Gruppo Maccaferri) a cui va il marchio Eridania detenuto tuttora insieme agli altri marchi commerciali dei prodotti.

Dopo una serie di cessioni e acquisizioni da parte di diverse società (consultare la pagina Wikipedia riportata in calce per ulteriori dettagli), arriviamo nel 2005 quando l’Unione Europea decide una drastica revisione della regolamentazione delle quote di produzione di zucchero. In base a queste nuove regole le società produttrici sono fortemente incentivate a restituire le quote contro una forte compensazione economica e quindi, di fatto, alla chiusura degli impianti produttivi.

Nel luglio 2016 il Gruppo Maccaferri cede il controllo della società Eridania Italia SPA, che detiene il marchio Eridania, al Gruppo Cooperativo francese Cristal Union tramite la società commerciale Cristal CO.


Galleria fotografica storica


Galleria fotografica


Riferimenti in rete

Mostra di LostItaly a Milano

Mostra LostItaly Milano

Nuova tappa della mostra fotografica di LostItaly. Questa volta saremo ospiti della Cascina Martesana a Milano.

“Il progetto Lost in Time, selezionato dalla curatrice Paola Riccardi per il sesto appuntamento della rassegna fotografica triennale Altri Mondi, è una collettiva coordinata da Michele Greco. I fotografi in mostra sono tutti membri, assieme allo stesso Greco, del progetto LostItaly.it, che ha come obiettivo di creare una sorta di memoria collettiva attraverso un archivio di immagini di luoghi abbandonati, scattate dagli stessi fotografi ma anche con notizie storiche e fotografiche.”

La mostra si inaugura il 13 luglio 2018 e rimarrà esposta fino al 2 agosto.

Ulteriori informazioni sul sito della Cascina Martesana.

Per raggiungerci: Google Maps.

Inaugurazione della Mostra di LostItaly a Firenze

Alcune immagini e gli interventi dei relatori Gianni Capitani e Paolo Quattrini in occasione dell’inaugurazione della mostra di LostItaly presso la biblioteca BiblioteCaNova Isolotto di Firenze.

Introduzione di Michele Greco

L’introduzione della mostra è stata basata sul seguente passaggio del libro “Una vita per strada” di Joseph Mitchell:

“Come ho detto, sono fortemente attratto dalle vecchie chiese. E sono inoltre fortemente attratto dai vecchi alberghi. E sono inoltre fortemente attratto dai vecchi ristoranti, dai vecchi bar, dalle vecchie case popolari, dalle vecchie stazioni di polizia, dai vecchi palazzi di giustizia, dalle vecchie tipografie, dalle vecchie banche, dai vecchi grattacieli. E sono inoltre fortemente attratto dai vecchi
pontili e dalle vecchie stazioni marittime e dalle aree portuali in genere. E sono inoltre fortemente attratto dai vecchi mercati e più di tutti dal Fulton Fish Market. E sono inoltre fortemente attratto  da una dozzina di vecchi edifici, la maggioranza dei quali in Lower Broadway e sulla Fifth e la Sixth Avenue nel tratto tra la Ventesima e la Quarantesima, un tempo grandi magazzini diventati in seguito abitazioni o depositi, quando i grandi magazzini – alcuni famosi e rinomati e perfino amati ai loro tempi e ormai del tutto dimenticati – hanno chiuso o si sono trasferiti in altri edifici nei quartieri residenziali della città.

Sono inoltre fortemente attratto da certi luoghi nei quali in genere è «vietato l’accesso», come indicano i cartelli, «ai non addetti ai lavori» – gli scavi per esempio, e edifici e altre strutture in demolizione. […] Sono stato in decine di edifici in fase di demolizione (arrampicarmi sui ponteggi è la mia passione) e sono salito su decine di grattacieli in costruzione, e ho visitato una mezza dozzina di ponti in costruzione, e sono sceso in tre tunnel in costruzione – il Queens Midtown Tunnel, il Lincoln Tunnel e il Brooklyn-Battery Tunnel – e ho guardato le ruspe farsi strada centimetro dopo centimetro nel letto del fiume. E sono inoltre fortemente attratto da certi sotterranei e da certe torri. Sono sceso nelle cripte della chiesa della Trinità e sono sceso nelle camere blindate della Federal Reserve Bank, e sono sceso nei vecchi sotterranei in disuso dei grandi magazzini abbandonati, tra archi in mattoni rossi, sotto il ponte di Brooklyn dal lato di Manhattan, sotterranei che emanano ancora l’odore stantio ma gradevole di alcuni prodotti che vi
erano immagazzinati – vino in botti, cuoio e pelle proveniente dal quartiere del pellame all’ingrosso, conosciuto con il nome di Swamp, che un tempo era adiacente al ponte e ora è stato demolito, e pesce in eccedenza conservato al fresco dai pescivendoli del Fulton Market, non molto distante, da vendere a costi elevati. Sono stato sulla cupola del City Hall e sulla torre del Municipal Building e nella cupola del vecchio Police Headquarters e sono stato su entrambi i campanili della cattedrale di St. Patrick e mi sono inerpicato sulla scala paurosa che sta nel braccio alzato della statua della Libertà e mi sono affacciato (ma solo per qualche istante) sulla stretta balconata intorno alla torcia e sono stato nelle soffitte e sui tetti di decine di vecchi edifici sbarrati e decretati inagibili.”

Con queste parole Joseph Mitchell (1908-1996), firma di punta per 60 anni del New Yorker, descrive il proprio girovagare per gli edifici dismessi o fatiscenti della New York “orizzontale” che stava via via scomparendo sotto i colpi della New York “verticale” che stava sorgendo ad inizi degli anni ’60. Un muoversi per la città che noi oggi chiameremo “esplorazione urbana”, certo Mitchell ha raccontato molto altro di New York, ne è stato il biografo principale, ed anche grazie a questo suo vagare, come lui stesso ammette, che è riuscito a sentirsi a suo agio in una città non sua, ma ci piace considerarlo un “esploratore urbano” ante-litteram. Noi, come lui, cerchiamo di raccontare, lui con «la carta da lettera intestata del giornale e una matita dalla punta morbida nella giacca», noi con la macchina fotografica, una civiltà che, nelle sue diverse declinazioni: industriale – postindustriale- post boom economico, sta scomparendo, lasciando, come sempre succede in quel ciclo inarrestabile che parte dalla notte dei tempi, rovine. Rovine che sono sotto gli occhi di tutti, ma, esattamente come quelle descritte da Mitchell in molti dei suoi articoli, invisibili ai più, o spesso, peggio, non viste come un’eredità di quello che si era, ma bensì un segno di un passato non più utile, da dimenticare, degrado, e, dunque, da cancellare. È quindi nostra intenzione continuare, con i mezzi che ci sono propri, a tener viva la memoria di un passato recente a cui dobbiamo, nel bene e nel male, ciò che siamo, ciò che la nostra società tecnologica (e non) è, prima che di esso non resti più traccia.

Interventi di Michele Greco, Gianni Capitani e Paolo Quattrini

L’allestimento e l’inaugurazione

 

Il catalogo della mostra, in vendita su Blurb

Mostra di LostItaly a Firenze

La biblioteca BiblioteCaNova Isolotto di Firenze, in collaborazione con LostItaly, presenta la mostra fotografica

identità e memoria dei luoghi abbandonati

dal 27 novembre al 7 dicembre 2017
presso Biblioteca BiblioteCaNova Isolotto
Via Chiusi, 4/3a – Firenze

Inaugurazione 29 novembre 2017 ore 17
con la partecipazione di Paolo Quattrini (Istituto Gestalt Firenze) e Gianni Capitani (Istituto Fenix, Puebla, Mèxico)

Più di dieci anni fa un piccolo gruppo di fotografi dilettanti decise di riunirsi in un forum per condividere una grande passione: i luoghi abbandonati.
All’epoca quasi soltanto all’estero esistevano fotografi che scoprivano, esploravano e raccontavano fabbriche, manicomi, ospedali e ville dimenticati da tutti.
Da allora l’attività fotografica di questo gruppo si è sempre affiancata al recupero delle informazioni storiche sui luoghi, con l’obiettivo di creare una sorta di memoria collettiva di un mondo che sta pian piano sparendo e le cui tracce sopravvivono soltanto nelle nobili macerie dimenticate da tutti.
Da questo progetto nasce LostItaly.it, dove molti di questi luoghi sono raccontati con notizie storiche e fotografiche.
La possibilità di ritrarre luoghi in abbandono che abbiano una valenza estetica sta pian piano scemando, poiché ormai quel che viene costruito oggi e sarà abbandonato in futuro, ha sempre più raramente una peculiarità architettonica che lo possa rendere affascinante nel suo declino.
Da qui l’interesse e l’importanza del lavoro di rappresentazione e ricerca svolto da LostItaly.it, che intende conservare la memoria storica di luoghi importanti per la nostra società e non solo per chi li ha vissuti tramandandoci, quasi sempre inconsapevolmente, tracce della propria esistenza.

Sul tema, ma non troppo, dei luoghi abbandonati Paolo Quattrini e Gianni Capitani dialogheranno con il pubblico raccontando a partire da punti di vista inediti, o poco esplorati, come si può guardare, e cosa si può trovare in, una foto di edifici abbandonati.

Paolo Quattrini
Paolo Quattrini, psicologo e psicoterapeuta della Gestalt, collabora in qualità di psicoterapeuta e di supervisore di psicoterapeuti con vari centri del servizio psichiatrico nazionale. Didatta in corsi di formazione in psicoterapia della Gestalt in Italia, Spagna, Polonia, Brasile e Messico, Thailandia, Libano. Ha pubblicato vari articoli, il “Manuale di psicoterapia ad uso del paziente” e “Fenomenologia dell’esperienza”. Dirige attualmente l’Istituto Gestalt Firenze IGF, Firenze.

Gianni Capitani
Artista, arteterapeuta, counsellor, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma, vive e lavora a Puebla in Messico dove, nel 1994, ha fondato e dirige l’Istituto di Gestalt e Arte Terapia Fenix. La sua attività artistica lo porta costantemente a confrontarsi con molte delle diverse espressività dell’arte visiva, principalmente grafica, pittorica e video-arte. Ha al suo attivo, da più di 40 anni, mostre personali e collettive in tutto il mondo.

Sono esposte le fotografie di Cristiano Antognotti, Sandro Baliani, Roberto Conte, Gualtiero Costi, Roberto Diodati, Michele Greco, Marco Orazi, Pietromassimo Pasqui, Giovanni Maria Sacco, Valeria Spiga.


 

Come raggiungerci

Officine Meccaniche Reggiane

Officine Meccaniche Reggiane

Fondate nel 1901 a Reggio Emilia dall’Ing. Romano Righi, le Officine Meccaniche Reggiane, la cui prima denominazione fu Officine Meccaniche Italiane (OMI), furono una delle più importanti realtà industriali italiane, operante nel settore della produzione ferroviaria, di artiglieria e di aerei da combattimento.

Le prime importanti commesse arrivarono, a partire dal 1904, dal settore ferroviario. L’allora azionista di maggioranza e presidente Giuseppe Menada garantì all’azienda un ordine di venti di carrozze chiuse e sette aperte,  in virtù del fatto che lo stesso Menada fu dapprima direttore e poi presidente della SAFRE (Società Anonima delle Ferrovie di Reggio Emilia). Lo sviluppo del settore ferroviario continuò fino al 1912, quando venne acquisita la Società Officine Ferroviarie Italiane Anonima. Sempre nel 1912 la ditta cambierà denominazione diventando Reggiane Officine Meccaniche Italiane Spa.

Produzione vagoni ferroviari

Produzione vagoni ferroviari – fonte reggionelweb.it

Lo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, significò per l’azienda un incremento della produzione a fini bellici: nel 1918 venne assorbito il Proiettilificio di Modena e, nello stesso anno, iniziò la costruzione di parti meccaniche per i famosi biplani trimotori da bombardamento denominati Ca.44, Ca.45 e Ca.46, dove Ca sta per “Caproni“, industria aeronautica dell’epoca cui furono commissionati 300 bombardieri.

La crisi italiana del 1920, poi divenuta mondiale con il crollo di Wall Street del 1929, non risparmiò nemmeno le Reggiane: tra acquisizioni societarie con l’intento di diversificare la produzione e chiusura di alcuni stabilimenti (Monza, Modena) finalmente nel 1933 l’I.R.I. (Istituto per la Ricostruzione Industriale) divenne azionista di maggioranza salvando dalla cessione gli stabilimenti di Reggio Emilia. La parziale rinascita avvenne nel 1935 quando il conte Giovanni Caproni, prevedendo il prossimo riarmo del partito fascista, acquistò dall’I.R.I. la maggioranza delle azioni, fondando a Reggio Emilia la “Società Studi e Brevetti Gruppo Caproni”, mettendovi alla guida l’ing. Giovanni Pegna che già aveva dato prova di capacità tecnica e progettuale per la Piaggio. Il primo velivolo prodotto dal nuovo settore avio delle Reggiane fu il P.32bis, la cui foto è riportata di seguito.

Piaggio P.32bis

Piaggio P.32bis – fonte wikipedia

Lo sviluppo del settore avio è inarrestabile dal 1936 al 1943, anni nei quali molti modelli vennero progettati e costruiti negli stabilimenti di Reggio Emilia: trimotore da bombardamento S.M.79, Caproni Ca.405, RE 2000 (MM 408), RE 2001 (MM 409) e del RE 2002 (MM 454), RE 2003. Il regime fascista al potere, proprio per l’importanza strategica che l’azienda aveva in campo bellico, controllava completamente la produzione e il personale impiegato. Tuttavia, benché vigesse un rigido controllo, all’interno delle Reggiane erano presenti alcuni elementi antifascisti, come dimostravano – stando alle cronache dell’epoca – alcuni volantini e il disegno di falce e martello sui macchinari.

Alla storia delle Officine Meccaniche Reggiane è legato anche un triste avvenimento avvenuto il 28 luglio del 1943, noto alle cronache come “eccidio delle Reggiane“. Il regime fascista ormai decaduto lasciò il posto al governo “Badoglio” il quale, per evitare problemi di ordine pubblico, emanò norme molto restrittive che consentivano all’esercito di aprire il fuoco contro assembramenti di persone che superavano le tre unità. Quel triste 28 luglio un corteo di persone sfilò per le vie della città per chiedere la fine della guerra e, giunto ai cancelli delle officine, venne raggiunto dai colpi d’arma da fuoco dell’esercito che aveva l’ordine di fermare la manifestazione: rimasero ferite 50 persone e 9 operai dell’azienda rimasero uccisi, tra cui una donna incinta. Affinché ne rimanga memoria, il 28 luglio di ogni anno si celebra l’anniversario di quel tragico evento.

Subito dopo la guerra le Officine Reggiane, guidate al tempo dall’ing. Antonio Alessio, provarono a diversificare ulteriormente la produzione tentando la carta delle automobili: tuttavia la costruzione di autovetture “made in Reggio Emilia” non vide mai la luce.

Nel gennaio del 1944 i bombardamenti alleati rasero al suolo gli stabilimenti di Reggio Emilia: la produzione venne decentrata, utilizzando i macchinari che si salvarono dalla distruzione, in altri stabilimenti di Reggio Emilia e in altre città del Nord Italia. Successivamente, nel 1945, a seguito anche delle condizioni imposte dagli alleati, la divisione avio delle Reggiane cessò di esistere.

Nel 1950, l’azienda tentò nuovamente di riconvertire la produzione, passando ai macchinari da agricoltura. Il trattore R-60, di cui è visibile una foto più avanti, fu progettato e costruito durante l’occupazione dell’azienda (da ottobre del ’50 ad ottobre del ’51), a seguito di un pesante piano di licenziamento di più di 2000 persone.

Trattore R-60

Trattore R-60 – fonte www.officinemeccanichereggiane.it

Da ricordare che durante l’occupazione della fabbrica, durata un anno, gli operai non percepivano stipendio. Purtroppo, degli oltre 2000 operai licenziati, solo 700 vennero riassunti.

Dal 1970 ai giorni nostri la produzione delle Reggiane è incentrata su grandi impianti e gru:

1970: impianto per lo zuccherificio di Haiti, ancora oggi funzionante.

1980: produzione grandi impianti di dissalazione, tra cui quello di Misurata, Libia.

1987: progettazione e costruzione della nave-gru MICOPERI, utilizzata per l’installazione di piattaforme petrolifere.

1992: il gruppo Fantuzzi rileva l’azienda.

2008: TEREX, azienda americana, acquista il gruppo Fantuzzi. Nello stesso anno, il Comune di Reggio Emilia inizia un progetto, in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia, di recupero dell’area acquistando il padiglione 19, denominandolo Tecnopolo, con l’obiettivo di costruire una realtà destinata all’innovazione tecnologica.

Attualmente la sede storica delle Officine Meccaniche Reggiane, attiva dal 1904 al 2008, giace in stato di abbandono.

Nel video seguente viene ripercorsa la storia di questa importante industria:


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Stabilimento Innocenti di Lambrate

La Innocenti è stata una delle più note case automobilistiche italiane, fondata a Milano nel 1933 dall’imprenditore toscano Ferdinando Innocenti, già noto per aver inventato i famosi tubi da impalcature, utilizzati ancora oggi. Le attività di produzione erano concentrate principalmente nello stabilimento di Lambrate (Milano), ma esistevano filiali in altre parti del mondo, come in Sud America (joint venture con la Siderurgica del Orinoco, S.A.).

In questo video dell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa, viene raccontata la storia dell’industria nelle sue varie linee di produzione: meccanica (presse e sistemi di produzione), motociclistica (Lambretta, Lambro, Lui, etc.) ed automobilistica (A40, Mini, etc.).

Tra i prodotti di maggior successo della Innocenti c’è sicuramente la Lambretta, prodotta a Lambrate dal 1947 al 1972, subito dopo la seconda guerra mondiale, durante la quale lo stabilimento venne bombardato e completamente distrutto. Il nome dello scooter deriva dal fiume Lambro, che scorre nella zona in cui sorgevano gli stabilimenti.

Innocenti Lambretta (fonte Wikipedia)

Stabilimento produzione Lambretta (fonte Wikipedia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La produzione di automobili della Innocenti, iniziata nel 1960, non raggiungerà mai il successo ottenuto con gli scooter; tra i modelli maggiormente conosciuti ricordiamo:

  • A40, edizione italiana della Austin A40
  • Mini Minor, prodotta su licenza della British Motor Corporation
  • Innocenti Mille, derivata dalla Fiat Uno (prodotta all’estero)
  • Chrysler TC, sviluppara dalla Maserati per Chrysler
  • Innoenti Nuova Mini (Mini Bertone)

Innocenti Mini Minor (fonte omniauto.it)

Poco dopo l’inizio della produzione di automobili, nel 1966, muore il fondatore Ferdinando e l’azienda passa nelle mani del figlio Luigi, che all’inizio degli anni settanta separa le tre linee di produzione vendendo la meccanica all’IRI, formando la INNSE (Innocenti Sant’Eustacchio S.p.A.).

Sempre all’inizio degli anni settanta il settore automobili della Innocenti viene rilevato completamente dal gruppo inglese British Leyland, facendo nascere il nuovo marchio Leyland Innocenti con il quale vengono commercializzati in Europa i veicoli del gruppo inglese.

Innocenti Turbo De Tomaso (fonte ilsole24ore.com)

Nel 1976, a seguito di una grave crisi, la Leyland decide di dismettere gli stabilimenti Innocenti di Lambrate che, a seguito di trattative sindacali e di Governo, viene rilevata dal gruppo De Tomaso fondato dal pilota e imprenditore Alejandro De Tomaso: fino alla fine degli anni ottanta verranno prodotti nuovi modelli della Mini, compresa la famosa Turbo De Tomaso, con motore sovralimentato.

 

Nel 1990, a seguito delle perdite del gruppo Maserati (di cui De Tomaso è detentore di maggioranza dal 1975), le quote di Innocenti e poi di Maserati vengono passate a FIAT, che diviene di li a poco proprietaria di entrambi i marchi.

Lo stabilimento Innocenti di Lambrate venne chiuso definitivamente nel 1993, con l’uscita di scena della Mini Bertone.

Dal 1993 al 1997 il gruppo Innocenti rimane attivo solo ed esclusivamente per la commercializzazione di alcuni modelli FIAT – Piaggio, tra cui ricordiamo la Innocenti Mille ed Elba e il Piaggio Porter.

La produzione termina nel 1997 ed il marchio, non più utilizzato, diventa di proprietà del Gruppo FCA.

Una piccola curiosità: la Innocenti Nuova Mini (Mini Bertone) compare in diverse produzioni cinematografiche dal 1975 al 1980. Tra le più note, quella di Amici Miei del 1975 dove la macchina di Giorgio Perozzi (Philippe Noiret) è proprio una Innocenti 500L.

Innocenti 500L di Giorgio Perozzi in Amici Miei (1975)

Ad oggi, gli stabilimenti Innocenti di Lambrate sono stati in gran parte abbattuti: sopravvivono la palazzina uffici della Innocenti Commerciale di via Pitteri (residenza per anziani) e la palazzina uffici ex Centro Studi di Via Rubattino (magazzino). Rimane in piedi anche il cosiddetto “Palazzo di Cristallo”, che ospitava la produzione (immagine di testa della scheda).


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LunEur

Luneur

C’era una volta, a Roma, il parco divertimenti più antico d’Italia la cui costruzione risale al lontano 1953. Il nome deriva dal quartiere, EUR (Esposizione Universale Romana, splendido esempio di architettura razionalista), dove il parco risiede. Le attrazioni, completamente meccaniche, cessarono l’attività nel 2008 su disposizione della prefettura di Roma per garantire la messa in sicurezza di tutta la zona. Il parco ha una estensione di circa 68.000 metri quadri, dei quali più di 50.000 sono destinati alle attrazioni che, stando agli attuali progetti e lavori di ristrutturazione (ad opera della Cinecittà Entertainment s.p.a.), dovrebbero essere destinate a bambini dai 0 ai 12 anni. Chi ha avuto la fortuna di entrare al LunEur nel periodo migliore della sua lunga storia, ovvero a cavallo degli anni ’70 e ’80, non può non ricordarlo come un po’ pacchiano e – a suo modo – decadente già allora. Purtroppo il parco non ha mai saputo rinnovarsi: solo nel 2007 vengono aggiunte alcune nuove attrazioni e si introduce un biglietto unico di ingresso, nel duplice tentativo di aumentare gli incassi e tenere lontani personaggi “indesiderabili”. Tuttavia, anche in considerazione del fatto che alcune attrazioni più “appetibili” richiedevano un supplemento, gli esercenti iniziarono ad avere diverbi sulla ripartizione degli incassi e, dopo solo un anno da questo tentativo di miglioramento, il parco chiude i battenti. Si spengono le luci e la musica, lasciando un vuoto che difficilmente verrà colmato con la nuova riapertura.

Il video seguente, girato in Super8, ci mostra come era il parco negli anni ’70:

Inoltre, curiosamente, una delle migliori attrazioni del parco, il Looping Star (montagne russe), di cui è visibile una foto (fonte www.italiaparchi.it), è stata ricollocata – mentre il LunEur era ancora in funzione – in un altro parco divertimenti di Roma, ZooMarine.

Dal momento della chiusura fino al 2012, quando sono iniziati i lavori di ristrutturazione che dovrebbero terminare nella primavera del 2016 (vedi articolo), il parco è restato chiuso ed in stato di totale abbandono.


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