Dinamitificio Nobel di Carmignano

Alle porte di Firenze, nel comune di Signa, immersi in un folto bosco, riposano i resti di una delle più importanti fabbriche di esplosivi del novecento. Tra queste verdi colline nessuno potrebbe immaginare la quantità di edifici che, nascosti dal verde, costituivano la grande fabbrica di esplosivi. La sua storia ha avuto un ruolo fondamentale per Signa e dintorni, arrivando a contare circa 4.000 lavoratori.

Di seguito, le tappe fondamentali di questa storia, ricavate dal sito della proloco Signa:

Signa ha ospitato per buona metà del Novecento una fabbrica di dinamite che ha ricoperto un ruolo centrale nell’approvvigionamento dell’Esercito Italiano durante le due guerre mondiali.

In Italia era già presente una fabbrica di dinamite ad Avigliana di proprietà delle società di Alfred Nobel, ma presentava alcuni problemi: era troppo vicina ai confini nemici, aveva vecchi macchinari ed era stata vittima di alcuni gravi esplosioni. Per questo fu deciso di costruire una nuova fabbrica in un sito che avesse migliori caratteristiche. L’ubicazione scelta era posta alla confluenza dell’Ombrone nell’Arno, nei pressi del confine con Carmignano sulla strada per Comeana. Proprio per la vicinanza con Carmignano, la sua stazione e la sua comunità che la fabbrica prenderà il nome di impianto di Carmignano anche se si trovava nel territorio di Signa.

I motivi della scelta erano molti: una relativa vicinanza delle cave di pirite della Maremma e della Val di Cecina, la lontananza dalle coste marittime, in una posizione centrale rispetto allo Stato, il facile collegamento col porto di Livorno tramite ferrovia (vicinanza con la stazione di Carmignano), le caratteristiche del luogo, isolato e circondato in buona parte dall’Ombrone che in quel punto forma un’ansa.

Il terreno, facente parte della tenuta agricola di San Momeo nella zona detta Il Pitto, fu acquistato nel 1912 e un anno più tardi iniziarono i lavori che furono imponenti: fu spostata la strada provinciale tra Signa e Comeana che transitava proprio dentro l’area prescelta per la fabbrica; fu di conseguenza costruito un nuovo ponte; venne impiantato il bosco in porzioni della collina che invece erano coltivate a vigna al fine di rendere l’impianto difficilmente individuabile dalle aviazioni militari che cominciavano a svilupparsi; furono costruiti solidissimi edifici, tracciate strade, viali e piazze, e scavate gallerie.

La produzione aveva caratteristiche esclusivamente belliche. Durante la Prima guerra mondiale, lo stabilimento produsse principalmente esplosivi per le munizioni da cannone di grosso calibro: balistite e dinamite.

Dopo la Grande Guerra la fabbrica perse d’interesse per la proprietà e fu venduta nel 1925 alla Montecatini che dieci anni più tardi acquisì anche la Società Generale Esplosivi e Munizioni con la nascita della ditta Nobel-SGEM. La Montecatini in periodo di pace utilizzò lo stabilimento anche per sperimentazioni agricole (in un’area scoperta dal bosco in riva all’Ombrone ed anche in serra) e produzioni chimiche sperimentali.

Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, invece, la fabbrica ebbe nuovamente un ruolo militare importante; riprese la produzione di esplosivi (sempre a base di nitroglicerina) e furono costruiti molti nuovi edifici e persino un trenino con piccoli vagoni che trasportava il materiale tra i vari padiglioni e poi a valle fino alla ferrovia e di cui restano alcuni tratti delle rotaie che nell’ultimo tratto risultano collocati su tralicci di cemento armato, anch’essi aggrediti dalla vegetazione, come tante altre strutture edilizie.

Nel 1944 cadde in mano ai tedeschi che iniziarono a sfruttarla; da quel momento divenne oggetto di sabotaggi da parte dei partigiani: il più clamoroso avvenne l’11 giugno e  questo è il racconto:

All’1.10 della notte dell’11 giugno 1944 la polveriera salta in aria, per l’esplosione di 8 convogli pieni di tritolo fermi alla stazione.“Non è un incidente, come la gente pensa sul momento. No, è il risultato del sabotaggio della Squadra d’Azione Patriottica, guidata da Bogardo Buricchi. Con lui, il fratello Alighiero, Bruno Spinelli , Ariodante Naldi, Lido Sardi, Mario Banci, Enzo Faraoni e Ruffo Del Guerra.
Bogardo Buricchi è nato a Carmignano. Ha 24 anni. E’ definito maestro e poeta, spirito libero, odia le ingiustizie. E’ il capo indiscusso. Suo fratello Alighiero ha appena 19 anni. Lino Sardi, abitante alla Serra, ha sempre vissuto con la famiglia Buricchi. Bruno Spinelli è il più anziano del gruppo. Ha 43 anni. E’ un ex operaio della Nobel. E’ alla sua prima azione. Mario Banci ha 22 anni. E’ nato a Genova da genitori di Carmignano. E’ entrato nella Resistenza nel dicembre del 1943, da quando è sfollato a Montalbiolo. Ariodante Naldi, 21 anni, è studente a Firenze. Ruffo Del Guerra ha 21 anni. Abita a Poggio alla Malva, dove ha conosciuto Bogardo Buricchi, il quale va a trovare il parroco frequentemente. E’ di famiglia antifascista. Suo padre è stato ridotto in fin di vita dagli squadristi.Hanno deciso di fare un’azione importante prendendo di mira i vagoni della polverificio Nobel alla stazione ferroviaria. Sono stati informati che sono carichi di tritolo. E’ sabato. Pioviggina. Si trovano davanti al bar di Poggio alla Malva. Da lì si trasferiscono alla cipresseta della Cavaccia. Bogardo Buricchi stabilisce di non procedere insieme, ma che devono andare tre da una parte e tre dall’altra, mentre lui e Naldi vanno a diritto. Sanno che i vagoni sono otto, a circa quattrocento metri dalla stazione, su un binario isolato. Sanno anche che ci sono sentinelle, che devono essere eliminate. Ma non le vedono. Non c’è nessuno. I vagoni ci sono invece. Bogardo dà il via libera. I tedeschi sono altrove. Partecipano a una festa e sono tutt’altro che lucidi.
L’operazione è semplice, dice Bogardo. In pratica c’è da accendere una miccia. Ma hanno anche una bomba a tempo. Non si sa mai. Bogardo e Ariodante entrano in un vagone. Alighiero rimane a terra. A Bruno Spinelli è stata affidata una cassa di quaranta chili di tritolo. Lui e Mario Banci devono andare alla Cavaccia per metterla al sicuro. Può servire per altre azioni. Ruffo Del Guerra fa da palo nel cipresseto. E’ lui a scorgere la lampada di Bogardo. E’ lui a vedere Bogardo e Ariodante buttarsi giù dal vagone. E un secondo dopo il bagliore accecante, l’esplosione tremenda. Cosa non ha funzionato?Enzo Faraoni e Lido Sardi hanno fatto in tempo a spostarsi. E’ scoppiato un vagone. In successione, scoppiano gli altri, si dice per simpatia. Bogardo, suo fratello Alighiero e Ariodante vengono scaraventati contro le rocce. Disintegrati, Bogardo e Ariodante. Di loro saranno trovati brandelli e la tessera ferroviaria di Ariodante. Alighiero ha pochi attimi di vita. Faraoni e Sardi finiscono lungo distesi, feriti in modo non grave. Del Guerra sviene colpito forse da un tronco. Ne ha visti volare parecchi – impietrito – neanche fosserofuscelli. Bruno Spinelli, alla Cavaccia, è investito dall’onda d’urto che fa esplodere la cassa che trasporta. Fa un volo di molti metri e va a battere la testa contro un masso. Muore poco dopo.Mario Banci è ferito, ma ce la fa a muoversi.Non si sa quanti siano le vittime tra i tedeschi. Vero è che tutti gli edifici sono stati investiti. A chi è andata bene, ha avuto il tetto scoperchiato. L’esplosione è stata sentita a Prato e a Firenze. Il che ci fa capire la potenza. Che si valuta anche dalle dimensioni del cratere provocato. Sono tali da aver messo fuori uso un bel tratto di rotaie, impedendo il passaggio dei treni per giorni e giorni.E’ l’azione più importante dei partigiani fiorentini. Il prezzo pagato, però, è salato. Vi ha perso la vita gente in gamba. Bogardo Buricchi, nonostante la giovane età, ha sempre mostrato grande maturità, coraggio. A febbraio ha organizzato lo sciopero dei contadini di Carmignano contro l’ammasso supplementare del grano (15 chilogrammi per ogni componente delle famiglie). E il 2 marzo si è reso protagonista dell’incendio dell’ufficio comunale dove erano i documenti sui raccolti. Ha beffato anche la Banda Carità, arrivata a Carmignano per mettere ordine.Una formazione di partigiani pratesi prende immediatamente il nome di Bogardo Buricchi: è quella che partecipa alla liberazione della città laniera.A tutti e quattro, il 12 giugno 1966, i popoli di Carmignano e Prato dedicano un cippo a Poggio alla Malva. E’ intitolato “E ora impara te”.

Dopo la fine della guerra le commesse statali cessarono ed iniziò il periodo di crisi che sfociò in licenziamenti di massa. Un ultimo tentativo di salvare la fabbrica fu quello di convertire la fabbrica alla produzione di fitosanitari e pesticidi. Ma ormai era destinata alla chiusura che avvenne nel 1958. Dopo che nel 1964 lo stabilimento è stato bonificato dai residui degli esplosivi e dei materiali utilizzati per la loro fabbricazione, l’area su cui sorgevano gli impianti giace inutilizzata ed è passata in mano privata.

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Il volume redatto dal Comune di Signa che tratta le azioni di gruppi partigiani della zona nel 1944

 

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Alcune pagine che trattano dell’occupazione tedesca dello stabilimento

 

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Qui, invece, descritte le azioni di sabotaggio dentro e fuori lo stabilimento. Nella foto una veduta della Nobel

 

Numerosi sono stati i progetti per riqualificare l’area, dal polo universitario a studi cinematografici. Ad oggi, niente è cambiato.

L’area è frequentata dai gestori del bosco; grazie a loro, le palazzine più vicine all’entrata sono ancora in buono stato; molte delle altre strutture, più lontane dal viale principale, sono ormai fagocitate dalla vegetazione.


Galleria di foto storiche degli impianti (da Frammenti di Memoria)

 

Nella foto sotto, scattata nel 2008, fa bella mostra di se la palazzina dei laboratori. L’edificio meglio conservato sia esternamente che internamente. Al suo interno sono ancora visibili i resti di banchi da lavoro e cappe laminari.  Ad oggi (2016) la struttura esterna è praticamente invariata.

 


Galleria fotografica


Riferimenti in rete