La penicillina venne ufficialmente scoperta in Inghilterra nel 1928 ad opera di Alexander Fleming, che per tale scoperta venne insignito del premio Nobel nel 1945, unitamente con Ernst Boris Chain e Howard Walter Florey.
Il primo utilizzo su larga scala della nuova scoperta avvenne durante la seconda guerra mondiale, ad opera principalmente degli americani che, a partire dal 1944, iniziarono a renderla disponibile anche per l’Italia. Al termine del conflitto l’Italia era un paese devastato ed entrò a far parte dei beneficiari del cosiddetto piano Marshall (European Recovery Program – ERP) con cui gli americani si riproponevano il duplice obiettivo di risollevare l’economia del vecchio continente e di indottrinare i paesi in un’ottica anti-comunista (la guerra fredda era agli esordi). Tra le numerose azioni intraprese ci fu anche la decisione di regalare all’Italia una fabbrica per la produzione del prezioso farmaco antibiotico, con il vincolo che tale produzione avvenisse nel perimetro delle istituzioni statali e non fosse destinata all’esportazione. Sede ideale per tale attività fu quindi l’Istituto Superiore della Sanità, allora diretto da Domenico Marotta.
Il progetto e i macchinari inviati dagli americani, per la creazione della fabbrica, vennero esaminati da Chain (co-vincitore insieme a Fleming del Nobel per la scoperta della penicillina) che li valutò obsoleti e poco efficienti, ritardando pertanto la costruzione dell’impianto.
Oltre al know-how americano, c’era in Europa un’eccellenza scientifica nel campo della produzione della penicillina, costituita dall’industria danese Løvens (azienda tutt’ora esistente con il nome di Leo-Pharma – “løvens” in danese significa “leone”). Nel 1947 l’imprenditore italiano Giovanni Armenise acquistò dalla Løvens la licenza per il processo produttivo della penicillina e iniziò la costruzione di una grande fabbrica alle porte di Roma, sulla via Tiburtina.
La fabbrica entrò in funzione nel 1950 col nome di Leo Roma e all’inaugurazione presenziò lo stesso Alexander Fleming.
Si trattava di un immenso impianto con tecnologia d’avanguardia che arrivò a coprire l’intero fabbisogno di penicillina dell’Italia.
Tale monopolio scatenò anche polemiche politiche: agli atti del Senato è presente una interrogazione del 1952 in cui si chiede al governo se la qualità della penicillina prodotta dalla Leo Farmaceutica sia paragonabile a quella di provenienza americana.
Gli impianti vengono ingranditi e alla fine degli anni ’50, con la scadenza degli accordi con la svedese Leo Pharma, l’azienda deve cambiare nome, diventando ICAR (Industria chimica antibiotici Roma).
Negli anni ’60, quando ormai è lontano il monopolio produttivo della fabbrica, subentra una profonda crisi che porta a scioperi e occupazioni.
All’inizio degli anni ’70, quindi, la fabbrica (e i suoi ingenti debiti) vengono ceduti alla ItalSeber e la ragione sociale muta in I.S.F. (ItalSeber Farmaceutici).
A metà anni ’80 l’impianto viene acquistato dalla britannica SKF (Smith-Kline & French) che all’epoca aveva accordi con la Zambeletti per la produzione di antibiotici.
A metà anni ’90 la SmithKline Beecham (fusione tra SKF e Beecham), alla vigilia della ulteriore fusione con la Glaxo, decide di disimpegnarsi dalla gestione dello stabilimento e lo cede al direttore tecnico dell’epoca, Domenico Chiaromonti, e al suo socio Giovanni Peciola, costruttore.
Poco dopo Chiaromonti esce dall’azienda e Peciola chiude definitivamente la produzione farmaceutica, iniziando un progetto immobiliare per trasformare parte dell’area in un hotel/resort. Tale progetto resta incompiuto.
Nel 2007 cessa ogni attività residua nello stabilimento e pian piano viene completamente abbandonato.
I lavori di allargamento della Tiburtina, e i relativi espropri in danno della fabbrica, ne eliminano il muro di cinta, favorendo la rapida devastazione e occupazione da parte di disperati e senza tetto.
(1) Immagini archivio storico Leo-Pharma
(2) Immagini archivio storico l’Unità
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