Zuccherificio di Avezzano

Nel 1897 una società italo-tedesca costruì uno zuccherificio a Monterotondo (RM) con il progetto di utilizzare le bietole che sarebbero state coltivate nei terreni della piana del Tevere, di proprietà del principe Boncompagni.

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Lo zuccherificio di Monterotondo

Nonstante la società offrisse anche degli incentivi anticipati ai coloni per promuovere la coltivazione delle bietole, pochi di loro aderirono alla proposta e lo zuccherificio si trovò in grande difficoltà per carenza di materia prima.

Fu così che si iniziò a cercare altre fonti di approvvigionamento e si arrivò ad acquistare le bietole coltivate nella piana del Fucino, recentemente bonificata e di proprietà del principe Torlonia. L’ottima qualità spinse la società a chiudere lo stabilimento di Monterotondo e a portare i macchinari ad Avezzano dove nacque un nuovo zuccherificio.

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Lo zuccherificio di Avezzano

E’ del 1900 la prima campagna del nuovo impianto avezzanese e dello stesso anno l’accordo tra la società (nel frattempo divenuta Società Romana Zuccheri) e il principe Torlonia.

L’accordo aveva una durata di 27 anni e prevedeva la creazione di una linea ferroviaria a scartamento ridotto che avrebbe attraversato tutto il Fucino per portare le bietole ad Avezzano e l’impegno del Torlonia a coltivare la bietola da zucchero nei propri terreni non affittati. La costruzione della linea ferrata e di tutte le infrastrutture era a carico della Società Romana Zuccheri e il contratto prevedeva che, trascorsi i 27 anni, il principe Torlonia  ne avrebbe acquisito la proprietà.

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Lo zuccherificio prima del terremoto del 1915. In primo piano i binari dello scartamento ridotto

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Il trenino a scartamento ridotto che trasportava le bietole allo zuccherificio

Un’interessante testimonianza sulle condizioni di sfruttamento dei contadini che lavoravano le terre del Fucino per il principe Torlonia, la troviamo nel libro “Una vita, quasi due”  di Miriam Mafai:

Il contratto tipico della zona era l’affitto. Il principe dava la terra ai suoi contadini, e l’affitto, secondo un «lodo» firmato a suo tempo dal ministro Bottai, doveva essere pagato in barbabietole, da consegnare ad Avezzano allo zuccherificio proprietà di Torlonia. Il «lodo» veniva considerato una vera e propria truffa dai contadini, perché affidava alla stessa amministrazione del principe la potestà di definire, anno per anno, il tasso zuccherino delle bietole e quindi, in ultima istanza, l’entità dell’affitto.

E ancora, riguardo le proprietà del principe Torlonia:

Nel punto preciso in cui le acque del Fucino escono dalla conca per gettarsi nel Liri, una grande statua della Madonna era stata eretta a simbolica guardia e protezione dei territori del principe. Tutto attorno, ai confini dei 14.000 ettari del feudo, erano stati costruiti numerosi, meno solenni ma altrettanto severi, limiti di pietra. Questi limiti tuttavia venivano spesso abbattuti, di notte, a colpi di badile dagli stessi contadini del principe che protestavano così contro il divieto di passaggio, una ingiustizia, una frode che pensavano (a ragione) venisse consumata a loro danno. Il principe infatti era riuscito a imporre le sue regole anche per quello che si riferiva al transito sulle strade che attraversavano il feudo: se un contadino, partendo da uno dei paesi del comprensorio, doveva recarsi a lavorare sul fondo affittato poteva, naturalmente, servirsi della rete stradale del principe, ma se per caso doveva andare da un paese all’altro, non poteva farlo e doveva affrontare un percorso assai più lungo e faticoso.
Ma un giorno qualcuno suggerì al principe di sostituire quei limiti di rozza pietra con altrettante statue della Madonna, di fronte alle quali i contadini si sarebbero fermati. Così accadde, in effetti. E nel 1950 quelle Madonne di pietra stavano ancora a indicare i confini e la sacralità del feudo.

Il 13 gennaio 1915 ci fù il devastante terremoto della Marsica che rase al suolo Avezzano e danneggiò gravemente anche lo zuccherificio. Gli eventi bellici del primo conflitto mondiale ridimensionarono molto l’attività dello zuccherificio, principalmente per la scarsa domanda di prodotto e per la mancanza di mano d’opera qualificata.

Nel 1927, alla scadenza del contratto, il principe Torlonia entrò in possesso di tutte le infrastrutture logistiche (linea ferrata, carrelli, etc.) che approvvigionavano lo zuccherificio e si oppose a un rinnovo del contratto. La Società Romana Zuccheri, a questo punto, non ebbe alternative se non quella di vendere  lo zuccherificio al Torlonia. Il passaggio di mano vide la nascita della SAZA (Società Anonima Zuccherificio di Avezzano) interamente di proprietà del principe Torlonia.

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Una confezione dello zucchero SAZA

Nel 1936, nell’area dello zuccherificio, si aggiunsero gli impianti per la distillazione dell’alcol etilico: in periodo di autarchia veniva anche addizionato ad altri combutibili fossili per usi industriali.

Nel 1943, in pieno conflitto mondiale, la fabbrica passò sotto il controllo dei tedeschi che non di rado dovevano andare casa per casa a prendere gli operai che non si presentavano in fabbrica per paura dei bombardamenti. E in effetti lo zuccherificio venne colpito pesantemente dai raid aerei, fino a risultare inutilizzabile.

I tedeschi, ormai prossimi alla ritirata, smontarono i macchinari e tutte le parti in metallo degli impianti caricandole su alcuni treni durante le ore notturne. Finito di smontare il tutto, minarono alcuni serbatoi rimasti e li fecero brillare. Dello zuccherificio rimanevano solo le mura.

All’arrivo degli alleati si decise di riattivare lo zuccherificio e vennero inviati, in bicicletta, alcuni operai a Roma dove era stata segnalata, presso la stazione Termini, la presenza di un treno con i macchinari predati dai tedeschi. Inizia così l’avventura di questi eroi sconosciuti che, dopo Roma, risalgono la penisola sulle tracce di quanto abbandonato dai tedeschi in ritirata,  riuscendo a recuperare gran parte dello zuccherificio.

Gli impianti vengono pian piano rimontati e sistemati e si arriva così alla campagna del 1947, la prima dopo la guerra.

Nel 1978 la SAZA fu posta in liquidazione e lo zuccherificio continuò la produzione, tra alti e bassi, sino al 1998 quando venne chiuso definitivamente.

Nel luglio del 2000 il ministero per i Beni e le attività culturali riconobbe gli «Edifici industriali dell’ex zuccherificio» di particolare interesse per l’archeologia industriale nella Marsica, apponendo così un vincolo.

Ad oggi, 2016, alcuni edifici e strutture sono state recuperate e restaurate, il rimanente è stato posto in vendita in lotti.


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